Il tempo. Se ti fermi a parlare con qualcuno in centro a Biella, vieni a sapere che è il nuovo bene di cui c’è ampia disponibilità, ma di cui, chi lavora, farebbe volentieri a meno. Altro che la liberazione dell’operaio di cui parlava Marx. La città-distretto del tessile - 1,4 miliardi di euro il valore di export - è il grande malato del Piemonte, tramortita dalla chiusura dei negozi di abbigliamento, con gli ammortizzatori sociali nel 77% delle sue 800 aziende. È venerdì, giorno di cassa integrazione per tutto il Biellese, e bar come il Glamour hanno più clienti del solito.
Paolo Drago, presidente dell’omonimo lanificio, 34 milioni di giro d’affari, è invece in azienda. Gli addetti, 150, lavorano solo su un turno di 6 ore da giugno. «La stagione inverno 2021 è stata chiusa con -8% di fatturato, ma quella vera “del Covid” è l’estate 21: siamo partiti a -70%, speriamo di chiuderla a -50%». Salvo complicazioni, Drago conta di mettere un -30% ai conti a dicembre. Per una dinamica di prodotti non venduti e maggiori stock di magazzino, i negozianti compreranno dai confezionatori meno collezioni per la prossima estate. I depositi infatti esplodono, molti sono costretti a mandare le pezze al macero, a regalarle come Brunello Cucinelli o a tentare di rivenderle a prezzi più bassi. Drago però non sta con le mani in mano: i suoi 22 agenti viaggiano di meno e lui da giugno ha approntato uno showroom digitale: «Non mi posso fermare». Un’ora di chiacchierata via megaschermo, il campionario a disposizione, e si conclude. Il presidente ha anche iniziato il confronto con i sindacati sul nuovo integrativo che scadrà l’anno prossimo: «È legato alla bonifica dei tessuti, meno difetti hanno, più ci vengono pagati e allora premiamo i dipendenti. Vorremmo alzarlo a 105 euro defiscalizzati».
Drago è un salmone controcorrente, ma non è l’unico. Dalla prima crisi del tessile nel 2002 a oggi si sono persi 12mila posti di lavoro. «Ricollocati a fare oss, badanti, baristi — snocciola Filippo Sasso dell Filctem Cgil —. Tutta la filiera sta usando in forma massiccia la cassa, i lanifici sopra i 100 addetti fanno fermate programmate venerdì e lunedì e i dipendenti non se ne accorgono; il problema sono i piccoli, che lavorano 7 giorni in un mese». A ottobre 280 grandi aziende hanno finito le 18 settimane di cig e 500 artigiani dell’indotto usano l’assegno di ente bilaterale: di fatto su 15mila lavoratori, 10mila sono fermi. Molti si chiedono che fine faranno tutte quelle competenze formate negli anni. Se lo domandano anche all’Its Tessile Abbigliamento Moda di corso Pella. Prima del Covid il tasso di occupazione tra i neodiplomati dei tre corsi era del 92%. A luglio è crollato al 50% con i ragazzi accolti da maglifici e imprese abbigliamento donna, il settore più lesto a ripartire. «Guardi che è già un miracolo — confida la direttrice Silvia Moglia —. Stiamo parlando di 40 studenti che non han potuto fare lo stage, conto prima di Natale di averli piazzati tutti, ma viaggiamo a vista. Nel futuro prossimo i nostri diplomati dovranno avere competenze diverse per potersi inserire su tutta la filiera».
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Poco distante, i designer di Fratelli Cerruti, con il mitico Nino che ha appena compiuto 90 anni, sono andati a spulciare in archivio le collezioni del Dopoguerra. È l’unico lanificio rimasto in città: 330 addetti, 52 milioni di ricavi. «È una questione di costume, non di tessuto: siamo andati a vedere come reagì l’azienda dopo un grande evento di discontinuità — rivela il ceo Alessandro Cannas —. Erano tessuti compatti, inusuali, ma portabili». Per le nuove collezioni allora Cerruti ha pensato a uno stile casual-chic, più décontracté. Più presenza sui social come il cinese WeChat, webinar per il mondo del «su misura». «Io mi faccio tante domande: quale sarà il livello di produzione? Quali non faranno più parte di Biella? Chi saranno i player? Non so darmi risposte, so solo che tutto quello che crea valore aggiunto su design e performance ha possibilità di sopravvivere e che il digitale diventerà necessario per le presentazioni e gestire il backoffice».
Come Teseo nel labirinto di Cnosso, a Cerrione la Filati Di.Vè (maglieria e aguglieria) è riuscita a salvarsi grazie a un filo di lana e a proteggere i propri fornitori. Venti milioni di fatturato, 104 addetti, ad agosto è rimasta aperta per soddisfare ordini di gomitoli dal Nord Europa: «Il lockdown ha incentivato i lavori a maglia in casa», spiega il ceo Marco Bortolini, 28 anni, che però denuncia una cattiva pratica in diffusione, con il grande gruppo acquirente finale che chiede sconti fino al 9% anche sulla merce già venduta e consegnata nel 2019: «il prezzo di favore» viene chiesto a cascata su tutta la filiera fino al produttore iniziale che però non può rivalersi su nessuno. E chi non ha liquidità chiede dilazioni di pagamento fino a 120 giorni. «Noi invece abbiamo anticipato le fatture e la cig — dice Bortolini —. Qua abbiamo l’unica filiera completa d’Europa con le ultime 3 pettinature rimaste, la salviamo solo integrandola, unendoci e ricostruendo un modello di business». Come? La sostenibilità può diventare occasione di rilancio e benchmark di tutta Biella, sostiene il ceo. Infine reagire velocemente nella consegna dei prototipi, assistendo con ufficio stile e prodotto. «Essere più partner che fornitori, accorciare i tempi tra l’arrivo di un ordine e l’uscita del prodotto. Oggi ti chiedono 200 chili di filo in 2 giorni, è impensabile! Bisogna agire d’anticipo, però questo ha un costo...».
Trent’anni e sulla stessa lunghezza d’onda pure Francesco Ferraris, direttore di produzione della Tintoria e Finissaggio Ferraris, 130 addetti, 20 milioni di ricavi, un impianto in cassa, l’altro no. «Oggi si vuole tutto e subito ma la filiera è lunga e antiquata e non si vede più riconosciuta i margini di due anni fa: va trasformata togliendo la stagionalità — osserva —. Le crisi sono passeggere, per superare questa servono prodotti con valore aggiunto, tessuti comodi e antipiega ma che consentano di vestirsi in maniera appropriata. E più impronta ecologica per esempio resina dei pini per le incerature, morbido naturale come la lanolina al posto di quello chimico». Parla invece di crisi a macchia di leopardo Paolo Barberis Canonico, ceo della Pratrivero e vicepresidente Union industriale Biella. «Tessuti tecnici e sanitari e arredamento vanno bene, uomo e automotive vanno male – riporta –. Ce la giochiamo a livello globale, quindi bisogna aumentare il livello imprenditoriale e fare sistema: in un mondo in cui le aggregazioni le fanno i clienti, perché non possiamo farle noi? I tedeschi sono più bravi, fanno addirittura cartello». Da qui si riparte dunque, un po’ greci e un po’ teutonici per sfuggire al minotauro del Covid.